FEDORA di Umberto Giordano - al Teatro alla Scala dal 15 ottobre al 3 novembre
12/10/2022

FEDORA di Umberto Giordano - al Teatro alla Scala dal 15 ottobre al 3 novembre

Debutto operistico alla Scala per il direttore Marco Armiliato con l’opera di Umberto Giordano cara al pubblico scaligero. Mario Martone firma la sua nona regia alla Scala, con le scene di Margherita Palli e i costumi di Ursula Patzak. Sonya Yoncheva e Roberto Alagna protagonisti alla prima con George Petean e Serena Gamberoni.


Fedora di Umberto Giordano, su libretto di Antonio Colautti dal dramma di Victorien Sardou, torna alla Scala per 7 rappresentazioni dal 15 ottobre al 3 novembre. L’opera segna il debutto operistico alla Scala di Marco Armiliato, direttore apprezzato nei grandi teatri per la sua profonda conoscenza del repertorio italiano, e vede il ritorno di Mario Martone, al suo terzo titolo di Giordano alla Scala. Opera di grandi passioni e grandi interpreti, Fedora sarà interpretata da Sonya Yoncheva (Fedora), Serena Gamberoni (Olga) e George Petean (De Sirieux), mentre nella parte di Loris Ipanoff si succederanno Roberto Alagna (15, 18 e 21 ottobre) e Fabio Sartori (24, 27, 30 ottobre e 3 novembre).
Era il 2011 quando Mario Martone, che in questi giorni rappresenta l’Italia agli Oscar con il suo film “Nostalgia”, proponeva al pubblico scaligero la sua scabra lettura di Pagliacci e Cavalleria rusticana avanzando, tra realismo ed essenzialità scenica, una nuova linea interpretativa per questo repertorio. Da allora Martone ha continuato a leggere i titoli che si raccolgono convenzionalmente sotto l’etichetta verista come esperienze legittimamente inserite nella drammaturgia novecentesca. Una particolare consonanza il regista ha sviluppato con la libertà a tratti sperimentale del teatro di Umberto Giordano: del 2016 è La cena delle beffe, la cui catena di eccessi sanguinari è trasportata tra le famiglie della mafia italoamericana. Resta invece nella Francia del Terrore Andrea Chénier, che Riccardo Chailly sceglie di riportare ai fasti della Serata inaugurale il 7 dicembre 2017 e che ritroveremo nel corso di questa Stagione (protagonista ancora Sonya Yoncheva).  Con Fedora Martone giunge al suo terzo Giordano (e al suo nono spettacolo) alla Scala, ancora una volta con le scene di Margherita Palli e i costumi di Ursula Patzak.
Il dramma di Victorien Sardou, tagliato su misura su Sarah Bernhardt, andò in scena al Théatre du Vaudeville di Parigi nel dicembre 1882 e registrò subito 135 recite e un impatto con pochi precedenti sulla cultura e la vita sociale del tempo (tra i numerosi oggetti ispirati alla pièce anche un cappello da uomo). La riduzione di Colautti, realizzata dopo che Sardou era stato impressionato dal successo scaligero di Andrea Chénier e aveva finalmente ceduto i diritti, disegna un’idea nuova di teatro d’azione, di argomento poliziesco prima ancora che amoroso, collocato in ambienti fastosi e contemporanei, con uno sfondo di cronaca assolutamente sconvolgente per l’epoca: il terrorismo e l’assassinio dello Zar Alessandro II nel marzo 1881. La prima avviene nel 1898 al Teatro Lirico di Milano. La Scala, forse diffidente di fronte alla trama spionistica, alla drammaturgia innovativa o alla partitura scaltra e fin troppo seducente, ne ignora il successo fino al 1932. Da allora il successo scaligero di Fedora continua, illuminato dalle prove di storiche primedonne impegnate a vestire i panni della diva per eccellenza, Sarah Bernhardt. Quello che può stupire tuttavia è quanto il cammino dell’opera nel nostro Teatro sia una storia di grandi direttori: il battesimo, ripreso nel 1935, avviene con Victor de Sabata, con Giuseppina Cobelli e Aureliano Pertile; segue Gino Marinuzzi nel 1939 con Gianna Pederzini e Beniamino Gigli, di nuovo De Sabata con la Caniglia e Giacinto Prandelli, Gavazzeni con la Callas e Franco Corelli nel 1956 nella sontuosa regia di Tatiana Pavlova su scene e costumi di Benois, e di nuovo nel 1993 con Mirella Freni e Plácido Domingo nell’affettuoso allestimento di Lamberto Puggelli poi ripreso nel 1996 da Armando Gatto e agli Arcimboldi nel 2004 da Stefano Ranzani. 

Riportiamo di seguito un testo di Mario Martone pubblicato sul numero di ottobre de “La Scala - Rivista del Teatro”.
Fedora, opera in cui si parla di spionaggio e i cui protagonisti sono donne e uomini russi alla fine dell’Ottocento, doveva debuttare con la mia regia alla Scala all’inizio di giugno del 2020, quando i programmi dei teatri vennero stravolti a causa del Covid. Il progetto risale dunque al 2019, anno in cui ero andato a San Pietroburgo per una rassegna dei miei film e avevo incontrato Valery Gergiev, con cui avevamo realizzato Chovanš?ina alla Scala, immaginando di fare un’opera insieme al Mariinskij. Intanto alla Scala si costruivano le scene di Fedora, ignari di quel che sarebbe accaduto da lì a qualche mese. Quando l’emergenza sanitaria ha allentato la presa, i teatri sono stati riaperti e lo spettacolo è stato riprogrammato, ma adesso che finalmente lo stiamo provando, in Russia non si può nemmeno più andare. Come farei Fedora se mi venisse proposta oggi? La guerra in Ucraina, le spie russe che sono state scoperte in Italia orienterebbero in qualche modo le mie scelte? Forse. Ma io invece sono felice di lavorare su un progetto di quattro anni fa. Già allora l’opera mi era apparsa sotto il segno della melancolia, costruita terribilmente com’è su una concatenazione di eventi che sembra il gioco di un dio maligno, o un Sogno di mezza estate al negativo, in cui le posizioni degli amanti si scambiano non grazie a una polverina magica, ma sotto i colpi dell’assassinio, della cospirazione, della delazione e della vendetta. Oggi questa visione mi appare ancora più vicina al sentimento che personalmente provo in questi tempi che stiamo vivendo. L’enigma e l’imprevedibile regnano sovrani, noi tutti sembriamo pedine di un gioco del quale, per quanti sforzi facciamo per capirlo, sfugge il senso. E io volevo sfuggire allo stretto naturalismo imposto al libretto dalla rielaborazione del dramma di Sardou, così mi rivolsi con l’immaginazione a Magritte, grande pittore malinconico. In particolare ricordavo il suo quadro L’assassino minacciato, ma anche i suoi Amanti dal volto coperto sbalzavano nell’idea della messa in scena. Lo spettacolo doveva cominciare con un’impronta realista e contemporanea, ma ben presto il naturalismo doveva sfaldarsi. Dalla Pietroburgo dell’inizio alla Parigi del secondo atto fino alla Svizzera evocata dal canto lontano di un bambino, in questo enigmatico viaggio nel tempo e nello spazio che è Fedora, col suo quasi meccanico avvicendarsi di lettere e biglietti, tutto precipita nell’insondabile, in un dolore inspiegabile. La Storia, la politica, la natura, i conflitti ci sovrastavano come fossero degli dèi, ma poi ci sono gli esseri umani, i loro sentimenti e i loro errori. Come tutto questo prenda forma è l’enigma dei personaggi tragici di Sardou a cui Giordano dà vita con la sua musica, ma è anche quello delle semplici vite di chiunque di noi.


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